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TAV: in realtà la pagheranno i contribuenti fin oltre il 2060, e aumenterà il Debito Pubblico PDF Stampa E-mail

Scritto da Marista Urru   
venerdì 30 novembre 2012
val di Susa scavi esplorativi TAV

Foto da Ecoo.it

Gli scavi esplorativi che sono stati effettuati si trovano a pochi metri dalla Maddalena di Chiomonte, il luogo che è stato scelto per costruire il tunnel per le gallerie della Tav fra Torino e Lione. Il governo ha dato via libera alle autorizzazioni ed ha assicurato che il progetto non determina danni ambientali, né diretti né indiretti. In ogni caso non bisogna dimenticare che nella Val Susa si trovano molte miniere d’uranio e la popolazione locale è preoccupata proprio per la presenza del minerale.

 

 

TAV: Finalmente, nell'articolo che segue, viene  svelato fino in fondo e  chiaramente il perchè della volontà di non abbandonare, contro ogni evidenza, un progetto messo in dubbio  dalla stessa Francia e che sembra mostrare ogni giorno in più  una  inutilità che si accompagna a manifesta dannosità per il nostro Paese : aumento del debito Pubblico, rovina del territorio di una delle più belle località turistiche dell'Italia con ovvie ricadute sulla economia della zona.

Da micromega:

Modello Tav il debito che piace ai tecnici 



Intanto , da Brescia oggi, i costi come fino ad ora quantificati

Il costo complessivo del tunnel è di 143 milioni di euro (Iva esclusa) di cui 65,5 finanziati dalla Ue, mentre l'Italia contribuisce con 50,75, la Francia con 26,75. Il progetto definitivo del tratto internazionale della Torino-Lione sarà pronto entro il 9 febbraio. Il costo ammonta a 8,2 miliardi di euro: la Ue potrebbe finanziarlo fino ad un massimo del 40%, per il restante gli accordi hanno stabilito che l'Italia se ne dovrà accollare il 57,9%, la Francia 42,1%



 micromega:

Dietro l'alta velocità si nasconde un meccanismo di privatizzazione dei profitti e di socializzazione delle perdite. A pagare gli ingenti costi infatti sono i cittadini, a testimoniarlo la Corte di Cassazione la quale ha decretato che i "debiti" del Tav verranno pagati dalle generazioni future fino al 2060.

di Francesca De Benedetti: Modello Tav il debito che piace ai tecnici


Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, il sistema Tav docet. Nel silenzio generale dei media mainstream. E se per i “tecnici” ridurre il debito corrisponde a ridurre la spesa pubblica attraverso il dimagrimento o persino lo smantellamento dello Stato sociale, per sfatare la convinzione tacita e diffusa che rigore significhi sottrazione al pubblico e alla sua dimensione occorre parlare proprio del Tav.

Una scelta che potrà stupire, in un contesto in cui la rappresentazione sociale veicolata dai media relega spesso al silenzio questo tema, e in ogni caso predilige le chiavi semantiche e interpretative della “violenza”, della “tensione”, lasciando spazio comunque più alle azioni che alle ragioni. Nel caso del Tav e dei movimenti ad esso contrari – ma anche nel caso di altre manifestazioni di contestazione che avvengono in Italia quanto in Grecia e altrove – la stampa ci consegna la realtà (semmai decide di raccontarla) attraverso il linguaggio della violenza, con modalità di manipolazione dell’informazione non molto dissimili da quelle già riscontrate negli anni Settanta. L’altra faccia della realtà arriva perciò attraverso la controinformazione, oggi come ieri, e oggi soprattutto grazie alla Rete.

E’ necessario però, per una riflessione compiuta sulla crisi, sollevare il tema Tav dalla dimenticanza generalizzata. Questo perché, come più di ogni altro Ivan Cicconi ha avuto il merito di cogliere e divulgare come dietro la grande opera si nasconda la messa a punto di un potente sistema di ingrossamento e di occultamento del debito pubblico. Di più, questo sistema viene poi replicato e diffuso in altri contesti nazionali e locali. Lo ha affermato la Corte dei Conti: "La vicenda è considerata paradigmatica delle patologiche tendenze della finanza pubblica a scaricare sulle generazioni future oneri relativi a investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico. (...) Si pregiudica l'equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su generazioni future (si arriva in alcuni casi al 2060) ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali". Il sistema inaugurato in grande stile con il Tav prende avvio con la dichiarazione che a pagare saranno i privati, e si conclude con spese reali lievitate ai massimi livelli e in sostanza a carico del pubblico, così come il rischio di impresa. Privatizzazione sì, ma dei profitti, e socializzazione delle perdite.

Inoltre, il sistema Tav, la sua tipica architettura contrattuale, allenta le “briglie” di controllo pubblico su opere pur costose, per di più – la cosa è oggetto di indagine a Torino nel processo “Minotauro” – con il sospetto di infiltrazioni di stampo mafioso nella catena di appalti e subappalti.


Il cuore della questione è che, attraverso specifici istituti contrattuali portati a regime proprio con il Tav, quelli che venivano annunciati inizialmente come finanziamenti privati si rivelano in realtà una quantità amplissima di debito pubblico (una quantità molto più ampia delle previsioni annunciate a inizio opera). Un debito “fantasma” che si annida in società di diritto privato o nella spesa corrente delle amministrazioni pubbliche, e che si tocca con mano poi, che ricade sulle generazioni future fino al 2060, come ipotizza la Corte dei Conti. O persino oltre quella data, visto che l’architettura contrattuale tipica del Tav (basata sul “general contractor” e sul “project financing”) ricorre in realtà in numerose opere riguardanti gli enti locali. Esempi, e analogie con il “sistema Tav”, si trovano infatti a Roma (la Metro C), a Parma (la sede del Comune), a Bologna (la sede del Comune e il People Mover).

Quando il governo Monti ha preso in mano il dossier Tav, un dossier su cui molti fra cittadini e autorevoli professori e professionisti nutrivano perplessità di fondo, nessuna perplessità su questa grande fonte di debito è stata sollevata da parte dell’esecutivo. Il governo “tecnico” ha invece valutato che non valesse la pena neppure di riformare quel progetto coltivato con convinzione bipartisan negli ultimi venti anni e più. Il premier ha piuttosto confermato “piena convinzione e impegno per la realizzazione dell’opera”, riferendo dissenso per la “violenza” delle contestazioni ed esprimendo una blanda comprensione per i timori e l’astio di chi vedeva la Tav come qualcosa di “lontano dal proprio modello di vita”. Eppure la questione non riguarda solo il cortile di qualcuno, né tantomeno solo temi ambientali. Deve saperlo bene anche il governo dei “professori”: sotto questo governo, gli istituti contrattuali che costituiscono la spina dorsale del “sistema Tav”, come quello del project financing, sono stati persino incentivati, ampliati, rafforzati. Il governo dei tecnici ha infatti inserito a ottobre nel Decreto Sviluppo Bis sconti fiscali proprio sui project financing. ( continua)

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