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Spatuzza dell'Utri: cose da piangere o da ridere? Fate voi PDF Stampa E-mail

Scritto da Marista Urru   
domenica 06 dicembre 2009
Non so come andrà a finire il processo dell'Utri, siamo agli inizi e in più io non seguo molto certe vicende, ho la convinzione di non potermi fare una idea precisa dalle informazioni che ci vengono date, e mi dà ansia prender partito "alla cieca".
Ho provato, ho  ascoltato qualche brano della diretta da Radio Radicale delle deposizioni di tale Spatuzza, mi hanno dato una incresciosa impressione di irrealtà, di copione mal recitato,  la stessa sensazione imbarazzante che provo  se ascolto  certe infelici fiction TV che invece ci dicono vadano forte negli ascolti .
Ho chiuso la radio, ne so zero quindi, ma mi sono imbattuta in questo esilarante "pezzo" di cronaca giudiziaria riportato dal velino, comunque la pensiate, leggetelo.. è divertentissimo







Spatuzza, il momento della verità Roma, 5 dic (Velino) -

Il momento della verità per Gaspare Spatuzza nell’aula di Giustizia di Torino, non è stato quando l’imbianchino di Brancaccio ha parlato delle quattro chiacchiere fatte con Giuseppe Graviano ai tavolini del caffè Doney a Roma nel mese di luglio del 1993.

Non è stato quando sono volati nell’aria i nomi di “quello di Canale 5” (che sarebbe Silvio Berlusconi) e del “compaesano” (che sarebbe Marcello Dell’Utri, il siciliano emigrato a Milano) i nomi spasmodicamente attesi dai cronisti, quanto ormai scontati da mesi.
Il momento della verità è stato circa mezz’ora dopo, quando Spatuzza ha parlato del colloquio da lui avuto nel carcere di Tolmezzo nel novembre del 2004 (erano passati undici anni dalla dolce vita di via Veneto), col fratello di Giuseppe, Filippo Graviano.
 Spatuzza stava raccontando che a quel punto lui - in galera già da sette anni - è già in crisi mistica ed è in isolamento.

Ma trova il modo di avvicinare ugualmente Filippo Graviano che ha avuto un infarto, dovrebbe stare peggio di lui ed essere anche più disperato.
Spatuzza pensa che quello è il momento giusto per parlargli dell’opportunità della “dissociazione”: perché non andiamo dai magistrati e ci dissociamo da Cosa Nostra? Che aspettiamo ancora? Che altre speranze abbiamo di non marcire qui dentro?

Ma Filippo Graviano, racconta Spatuzza, reagisce malamente. Ai magistrati, gli dice, della nostra dissociazione non interessa per niente: questo è un problema politico e lo devono risolvere i politici modificando la legge. Sono “loro” che devono intervenire come ci hanno promesso. Se non interverranno, solo allora andremo dai magistrati.

Il procuratore generale chiede a Spatuzza (ma, con un lapsus, lo chiama “signor Graviano”): chi sono “loro”? E Spatuzza: evidentemente, quelli di cui mi aveva parlato Giuseppe Graviano ai tavolini del caffè Doney, ”quello di Canale 5” e “il compaesano”.

Interviene il presidente della Corte d’Appello e chiede a sua volta a Spatuzza: glielo ha detto Filippo Graviano nel carcere di Tolmezzo che sono loro?

Spatuzza, piuttosto imbarazzato, replica: no, non me lo ha detto Filippo Graviano, è stata una mia deduzione, sono io che ho fatto “un collegamento”.

Il presidente
: No, signor Spatuzza, a noi interessano i fatti, non le sue deduzioni, lei non deve fare collegamenti, deve dirci ciò che è effettivamente è avvenuto.

Corre in soccorso di Spatuzza il procuratore generale, piuttosto agitato: Spatuzza sta raccontando un “fatto storico”, Giuseppe Graviano a via Veneto gli aveva indicato quei due, quando gli aveva detto che avevano “chiuso tutto” e che avevano ottenuto “quello che cercavano” e “grazie alla serietà di queste persone”.
Quando (dieci anni dopo) Filippo Graviano nel carcere di Tolmezzo gli dice che devono aspettare l’intervento dei “politici”, Spatuzza non può che pensare a loro (anche se nel luglio del ‘93, quando Giuseppe Graviano gliene avrebbe parlato, quello di Canale 5 e il compaesano sono tutt’altro che “politici” e ci vorrà almeno un anno perché lo diventino).

È “un fatto storico”, ribadisce il procuratore generale quasi gridando.

Ma il presidente, calmo e severo: “No, signor pubblico ministero, il fatto storico avviene nel tempo e nello spazio, non nella mente di Spatuzza”.

Non si poteva dire meglio. In questa storia tutto avviene non nella realtà, ma nella mente di Spatuzza, come lui stesso confessa.

E potrebbe anche avvenire, essere tutto avvenuto solo nella mente dei fratelli Graviano, ove mai fossero chiamati a confermare Spatuzza e lo confermassero (ma finora hanno negato, sia pure con tutto il “rispetto” per il loro ex imbianchino, illuminato e redento dalla fede).

In teoria potrebbe avvenire che i Graviano confermino il racconto di Spatuzza, e persino che quel racconto corrisponda a ciò che è realmente avvenuto intorno ai tavolini del caffè Doney - sempre di chiacchiere si tratterebbe -.

E non c’è niente di più autentico e costante nella mentalità e nella personalità del mafioso, questa ipertrofia dell’io e questa esibita vanteria: io so, io conosco, io posso, io ce li ho tutti nelle mani, io ho il Paese nelle mani.

Come racconta lui stesso, il povero imbianchino chiamato a Roma a fare l’ennesima strage - quella che doveva sterminare un centinaio di carabinieri all’uscita della partita allo stadio Olimpico -, non ne può più di questi “morti che non ci appartengono e che ci portiamo appresso” e che da uomo d’onore dell’associazione mafiosa Cosa Nostra lo hanno fatto diventare l’artificiere di una “associazione terroristica mafiosa”.

Un’associazione quasi “talebana”, che fa stragi sul continente, lontana dalla sua isola, e ammazza tanta gente che non c’entra, come quella quella “pura ragazza” saltata un aria ai Georgofili a Firenze.

Spatuzza non ne vuole più sapere.

Tutt’al più, visto che stanno a Roma, potrebbe impegnarsi a far fuori Totuccio Contorno, che si nasconde a Formello e che è uno dei loro, e che gli ha fatto fuori il fratello, ”una questione personalissima”e che, Contorno sì, sarebbe un morto che gli apparterrebbe.

E potrebbe anche darsi che per convincerlo Giuseppe Graviano gli avrebbe detto che la strage bisognava farla, che era l’ultima volta, il “colpo di grazia”, e poi sarebbero intervenuti “quelli di Canale 5” e il “compaesano”, sono “Cosa Nostra”, dicono sempre così tra di loro, e ci hanno dato “il Paese nelle mani”.

Poteva mai sapere, il povero Spatuzza, che l’unico lontano rapporto (se pure si può considerare tale) che c’era stato tra i Graviano, quello di Canale 5 e il compaesano, era stato di aver fatto raccomandare da un tale D’Agostino un ragazzo promettente calciatore di pallone perché lo provassero nella squadra dei ragazzi del Milan.

E quelli, dopo averlo messo alla prova, l’avevano cacciato (sbagliando, perché il ragazzo avrebbe fatto una brillante carriera).

 Avevano avuto “tutto” il Paese nelle mani, avrebbe detto Giuseppe Graviano al povero Spatuzza.

Non hanno avuto nemmeno quel posto nella squadra dei giovani del Milan per quel ragazzo raccomandato dall’amico dei Graviano. Nemmeno questo, questa piccola, minuscola parte del “Paese” avevano messo quello di Canale 5 e il compaesano di Milano.
L’avessero tenuto quel ragazzo, questo sì, sarebbe stato un sia pur piccolo “fatto storico”, come dice il procuratore generale.
Chissà se qualcuno di questi magistrati delle tre o quattro procure che gestiscono e si contendono Gaspare Spatuzza e che conoscono perfettamente questo episodio, che è da tempo agli atti del processo a Marcello Dell’Utri, glielo hanno raccontato a Spatuzza.
Magari per chiedergli: se Giuseppe Gravano non ti ha mai raccontato la storia del ragazzo cacciato dal Milan e veramente quella volta del caffè Doney ti ha detto invece che quello di Canale 5 e il compaesano vi avevano messo il Paese nelle mani, potrai mai più amarlo e rispettarlo e chiamarlo ancora “Madre Natura”?

fonte: http://www.ilvelino.it/la_memoria.php

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