Il rinnovamento ed il volo dell'aquila

Scritto da Marista Urru   
domenica 10 agosto 2008






















Non mi piace quel che sta accadendo nel mondo intorno a me, e non credo di esser sola in questo rifiuto.
Sono stanca, sarà il caldo che certo sfinisce, ma questa stanchezza di membra accaldate somiglia sempre più ad una stanchezza dello spirito.

Con questo stato d’animo mi sono imbattuta, gironzolando senza precisa meta nel web, in una leggenda indiana che sicuramente per la sua capacità di suscitare mille correlazioni ed emozioni  è conosciutissima da tutti voi.

Ne scrivo lo stesso per un augurio per tutti noi Italiani : che si possa raggiungere nel nostro Paese un effettivo rinnovamento, e che questo sia anzitutto un rinnovarsi del pensiero e dello spirito, per sperare di ritrovare l’anima perduta in un paese ridotto da troppo tempo ormai ad essere niente altro che un labirinto dell’assurdo retto da una dialettica di crudelta ed ipocrisie tra gli uomini.

- il volo dell’aquila- (segue)

- il volo dell’aquila-

  "Si dice che l’aquila viva fino a 70 anni, ma perché ciò accada, intorno ai 40 anni, deve prendere una decisione seria e difficile.

A questa età i suoi artigli sono lunghi e flessibili, e non riescono più ad afferrare le prede dii cui si nutre. Il suo becco, allungato ed appuntito, si incurva. Le ali, invecchiate ed appesantite dalle penne assai ingrossate, puntano contro il petto. Volare è ormai difficile.

Ora l’aquila ha solo due alternative: o si lascia morire, o affronta un doloroso processo di rinnovamento, lungo ben 150 giorni.

Volerà allora in cima ad una montagna, si ritirerà su un nido inaccessibile, addossato ad una parete rocciosa, un luogo da cui potrà fare ritorno con un volo piano e sicuro.

Trovato questo luogo, l’aquila comincia a sbattere il becco sulla parete fino a staccarlo, affrontando con coraggio il dolore di tale operazione.

Passate alcune settimane, le ricrescerà un nuovo becco. Con questo, strapperà uno ad uno, incurante del dolore, i vecchi artigli. Quando ricresceranno i nuovi artigli, con questi e con il becco, strapperà dal suo corpo tutte le penne, una ad una.

Quando rinasceranno le nuove penne essa, nuova aquila rinata, si lancerà sicura nel volo di rinnovamento e ricomincerà a vivere per altri trenta anni."


Io trovo questa leggenda, come tutte quelle indiane in cui mi sono imbattuta, intrisa di poesia, ma quello che colpisce di questo genere di racconti è che la simbologia di cui sono portatori è quasi sempre comune alle tradizioni di diverse culture; è un dato di fatto: se ci si addentra nel mondo dei simboli, troviamo una forte coincidenza fra le diverse tradizioni, lo spirito dell’uomo,  la essenza dell’essere umani, resta immortale nei secoli.

Ora il racconto appena descritto simboleggia chiaramente la forza dello spirito, e nella simbologia cristiana  per esempio, l’aquila che combatte il leone simboleggia la lotta dello spirito contro il corpo.

Senza dimenticare che appunto Giovanni Evangelista, il più giovane degli Apostoli, teologo, fu raffigurato dalla aquila, simbolo del librarsi dello spirito sulla materia, venne infatti definito Aquila spirituale.

Ricordiamo che fu l’Apostolo prediletto di Gesù, e senza inoltrarci nell’esame complesso dei suoi scritti, a noi basta ricordare come proprio Giovanni si rivelerà tra i discepoli di Cristo colui che più di ogni altro avrà capito il vero senso del nuovo regno, il “Regno del Figlio dell’Uomo”, opponendosi ad ogni sorta di interpretazione mondana della figura della persona di Gesù pur mantenendosi radicalmente fedele alla concezione di Dio quale uomo, e restando sempre in antitesi con quanti si ostinavano a mantenere separati spirito e materia.

Se poi ci rivolgiamo allo Yoga non possiamo dimenticare che nello Yoga, colui che ha raggiunto la cima del Monte realizzando completamente la sua funzione è chiamato Yogaruda e Garuda è l’aquila, capace di elevarsi oltre la cime ove dimora, e di fissare direttamente il sole (lo Spirito Divino). Essa occupa infatti quel luogo centrale in cui avviene una comunicazione diretta tra il mondo terrestre e quello divino.

Insomma l’aquila simboleggia comunemente lo spirito che vince sul corpo, e noi nel nostro secolo disincantato possiamo benissimo rapportare il travaglio simboleggiato dalla antica leggenda indiana anche a fatti a noi vicini, terra terra, per così dire, come sono i travagli esistenziali che ognuno di noi si trova a dover affrontare prima o poi, e spesso più di una volta nella vita.

Indiscutibilmente ci sono accadimenti che ci fanno come morire un po’, e non penso solo a tragedie e perdite dei cari, ma che so, la perdita di un lavoro, un fallimento di progetto a lungo sognato, e così via.

Se ci fermeremo, se ci lasceremo andare e non sapremo trovare la forza in noi stessi per rinascere, davvero in qualche modo sarà come fossimo un poco morti. Mentre se faremo in modo che durante la nostra vita alle piccole morti seguano altrettante “consapevoli e sofferte” rinascite, tanto meglio le avremo sapute affrontare strappando da noi il vecchio becco e le vecchie penne per ricominciare, tanto più proficua e meravigliosa sarà la nostra nuova vita.

E questa minima considerazione che riguarda la vita di ognuno di noi, credo possa valere anche per un intero Paese che sembra aver perso ormai il proprio spirito, la umanità, il patto di convivenza sociale, certo più di quanto molti vogliono ammettere.

Chi sa che messo alle strette, infine posto di fronte al disatro imminente, pure il nostro fragile paese, non riesca a fare il volo che l’aquila della leggenda intraprende per strapparsi di dosso finalmente il ciarpame che lo appesantisce; posto sempre che riesca ad individuarlo quel ciarpame .

Dice la leggenda : “Ora l’aquila ha solo due alternative: o si lascia morire, o affronta un doloroso processo di rinnovamento, lungo ben 150 giorni.”

In definitiva,  è necessaria una presa di coscienza per poter compiere un doloroso processo di rinnovamento… mi sa che siamo lontani da una qualsiasi seria presa di coscienza.. e troppo vicini alla prima opzione.

E la cosa più triste è che gli Italiani stessi, non solo la loro pessima classe dirigente , non sembrano affatto avere preso coscienza della necessità che il rinnovamento non coinvolga solo “gli altri” tutti cattivi, mentre ognuno di noi è santio e nel giusto.

Mentre in realtà alla fine tutti, chi fin ora ha taciuto, chi ha sottovalutato, chi si è appoggiato al potente di turno, chi ha urlato cose che servivano a distrarre l’attenzione dai problemi, chi ha lasciato degradare la situazione, tutti in qualche modo abbiamo partecipato, sia pure solo per dabbennaggine .

C’eravamo tutti, eravamo presenti , ed ognuno di noi, almeno una volta, per stanchezza, per dabbennaggine appunto o per pigrizia , o per paura o per calcolo , ha chiuso gli occhi, e si è lasciato condurre sperando con italiota sicumera di aver “scelto la squadra giusta”, quella vincente.

Negare, unirsi ai cori di questo o quel colore, intrupparsi nel gruppo più carino, non salverà l’anima a nessuno, e soprattutto: non impedirà la “morte dell’aquila”, solo che in tale caso, non facciamoci illusioni, non si salverà nessuno.

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