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Nebbia e ricordo- I vinti e la peste di Napoli PDF Stampa E-mail

Scritto da Marista Urru   
martedì 20 luglio 2010

nebbia  sui prati

Una stretta  quasi impercettibile, ed una pena sottile  mi è venuta incontro insieme ai veli strappati delle nebbie che salivano dal fosso vicino casa, si un fosso più che un canale, un fosso che da bambina guardavo sognando di fate , di gnomi, di eroi. Dalla nebbia mi arrivava il ricordo indistinto di racconti che ,se da bambina mi rendevano felice, ora mi procuravano  fastidio in qualche modo.


Un gioco, facevamo un gioco con l'amico "grande", che spesso arrivava dai posti più impensati, ricolmo di regali, per lo più libri illustrati . Invecchio e ricordo, anche senza l'aiuto della nebbia.







Lo sguardo vivace , i capelli lucidi neri e lisci,  gli occhi dolci e mobilissimi, io lo consideravo un compagno, un fratello, e la tata mi sgridava severa. "Ti prendi troppe confidenze, uno scrittore, un giornalista importante e ci giochi a tu per tu, come se  fosse un compagnuccio "   Non le badavo.

Era importante per me che venisse di tanto in tanto, non ricordo il nome, si curarono di farmene dimenticare persino l'esitenza, cose da grandi, chi sa cosa ha rotto l'amicizia, la politica forse.
Io ripensandoci , credo che la mia passione fosse dovuta alla mia enorme solitudine e con lui non ero mai sola: mi parlava, raccontava, favoleggiava e mi spingeva a leggere fino dall'età di tre anni, mi spingeva a scrivere a correre per i viali del giardino, a giocare con la terra : "  Impastala" diceva, "cerca diversi tipi di terra, vedi che laggiù c'è quella cretosa? Usala" Un amico stupendo e per un insieme di motivi che non so , me ne dovetti staccare, 5 anni sono pochi per superare un distacco senza nemmeno spiegazioni. E anche 13 anni sono pochi per capire cosa davvero ti succede intorno, per capire il senso delle mezze frasi, dei sorrisi falsamente comprensivi di certi parenti, ero sbigottita, mi dicevo che alcuni mi trattavano come se fossi una povera crista, una orfanella, ecco si, mi trattavano da bambina orfanella dell'800, o comunque così pareva a me.
Pochi anni prima  di esser mandata in sardegna per un lungo periodo, via da Roma, persi la tata, non poteva più restare con noi, la sua famiglia aveva bisogno di lei, era preoccupata nell'andare via e mi fece una raccomandazione breve e precisa: " non chiedere mai di lui, basta, non verrà più, ed è addolorato per questo, ma ha tanti problemi, se gli vuoi bene, non chiedere più di lui"
Sa Dio se gli volevo bene,  tata mi raccontava che a volte da piccolissima sbagliavo e lo chiamavo papa', forse perchè  il mio lavorava sempre e poi da piccolissima ero sicura  davvero che lui fosse il mio papa', si vede che il mio era meno divertente.
Insomma tacqui con tanto impegno.. che diventò in breve il ricordo di un distacco doloroso. Il ricordo dell'incitamento ad essere coraggiosa, il ricordo delle letture dei suoi libri e articoli,  o comunque delle letture preferite del mio amico, fatta di nascosto nel freddo salone, accucciata ai piedi del pianoforte, ma non capivo molto, ed ora pian piano rileggo, quando posso, come ho fatto ieri tornando dalla passeggiata verso il canale delle fate.


Più o meno, mi pare di ricordare, una volta che piangevo per aver perso alla lotta con una bambina che mi aveva fatto un qualche torto a scuola, mi disse serio: urassa ( il nome veniva da un gioco), "urassa, se tu non ti senti vinta, non sei vinta, nemmeno se stai col sedere per terra, se sai perdere, poi vincerai" non capii molto se non che la partita non era chiusa e l'indomani sferrai un bel cazzottone sulla faccia della rivale , la mandai a tappeto. Quando sei più grande, leggi qui, continuò quel giorno, e  mi porse uno dei libri che aveva portato , ci mise un bel segnalibro: un settembrino.. " non toglierlo!"

Ci pensarono i miei, tolsero di mezzo il libro e lo ritrovai con la macchia nelle prime pagine ed il fiore secco, dopo anni.


La peste di Napoli


  • l'onore di essere liberato per primo, era toccato in sorte, fra tutti i popoli d'europa, al popolo napoletano: e per festeggiare un così meritato premio, i miei poveri napoletani, dopo tre anni di fame, di epidemie, di feroci bombardamenti, avevano accettato di buona grazia, per carità di patria, l'agognata ed invidiata gloria di recitare la parte di un popolo vinto, di cantare, batter le mani, saltare di gioia fra le rovine delle loro case, sventolare bandiere straniere, fino al giorno innanzi nemiche, e gettare dalle finestre fiori sui vincitori.

  • Ma, non ostante l'universale e sincero entusiasmo, non v'era un solo napoletano, in tutta napoli, che si sentisse un vinto. Non saprei dire come questo strano sentimento fosse nato nell'animo del popolo. Era fuori di dubbio l'Italia, e percciò anche napoli, aveva perduto la guerra. E' certo assai più difficile perdere una guerra che vincerla. A vincere una guerra tutti son buoni, non tutti sono capaci di perderla. Ma non basta perdere una guerra per avere il diritto di sentirsi un popolo vinto. Nella loro antica saggezza, nutrita di una dolorosa esperienza più volte secolare, e nella loro sincera modestia, i miei poveri napoletani non si arrogavano il diritto di sentirsi un popolo vinto. Era questa senza dubbio, una grave mancanza di tatto. Ma potevano gli Alleati pretendere di liberare i popoli e di obbligarli al tempo stesso a sentirsi vinti? O liberi o vinti. Sarebbe ingiusto fare colpa al popolo napoletano se non si sentiva nè libero nè vinto..-




Di tutto questo a me bambina restava solo la testardaggina del "fare finta di niente", come se non avessi notato che il mio amico non veniva più, ed insieme un senso di dispetto verso i "grandi", gente incomprensibile e lontana, per cui decisi: dovevo fare come mi aveva consigliato il mio amico, leggere, crescere e mai sentirmi vinta, sempre pronta ad una nuova lotta, i miei andavano accettati, e non erano poi malaccio, tolta quella fisima.

Magra consolazione, ma avevo solo quella , a quella mi attaccai con tutte le forze, ed andai avanti, come tutti.

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