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F. Parpaiola Racconti di mare: L'Uragano parte terza PDF Stampa E-mail

Scritto da Marista Urru   
domenica 11 settembre 2011



Bilbao il portoNella moderna Marina Mercantile a volte la vita dell'equipaggio vale meno di una manciata di dollari

 

 

Dopo lo sciagurato episodio dei 12 pontoni lasciati a briglia sciolta nella stiva di modo che durante un Uragano fortissimo nel mare Cantabrico, avevano provocato danni alla nave sino ad indebolirne le strutture, costringendomi a prendere in mano la situazione e poi, arrivati a destinazione vivi per miracolo, a chiedere una ispezione da parte della Società di Classificazione e l'invio di un Ispettore dell’assicurazione per determinare i danni, il Comandante e il suo degno eroe cominciarono ad evitarmi come se avessi addosso la peste bubbonica.





Lo strano episodio della zavorra fantasma

La cosa in realtà mi andava molto a genio, dal canto mio però da allora in poi mi proposi di tenere gli occhi ben aperti su tutto quello che quei due avrebbero combinato in coperta e nella stiva.

Grazie alle peripezie e alla scampagnata navale di quello scemo di comandante, che ci aveva portato a circumnavigare quasi tutta la costa francese e spagnola del fottuto Golfo della Biscaglia, avevamo perso una buona settimana di tempo, e questo per il noleggiatore della nave si traduceva senz’altro in un minimo di centomila dollari di nolo persi. Quest’ultimo fatto era per me alquanto relativo, a ragion del vero non mi interessava proprio, per il momento avevamo salva la nostra ghirba e il resto non mi riguardava.

Cinque giorni dopo la nostra partenza da Bilbao, verso le otto del mattino, attraccammo a Segundo, e le operazioni di scarico iniziarono in un modo cosi tempestivo, che ne rimasi alquanto sorpreso, comuque cominciai subito a riempire le mie cisterne di zavorra con l’acqua del porto.

Dagli scaricatori appresi che la fabbrica che aspettava il nostro carico aveva ancora materiale per due ore, poi avrebbe dovuto fermare ogni attività produttiva, il che alle varie Assicurazioni sarebbe venuto a costare un occhio della testa.

Le due gru che dovevano scaricare la nostra nave svuotarono la stiva in meno di 12 ore, cosi la sera stessa, su un mare che sembrava uno specchio, salpammo alla volta di Antes sul fiume Ronna nei pressi di Marsiglia, in Francia, dove dovevamo caricare 3500 tonnellate di sale marino destinato ad Aveiro in Portogallo, dopo di che ad Aveiro ci avrebbero caricati con 3500 tonnellate di ciottoli di granito per i selciati olandesi e europei oppure con uguale quantità di pacchi contenenti legname per panchette da salotto.


Quando sono a terra, mi annoio talmente che, o finisco in un Bar, o mi rinchiudo in un Albergo e mi metto a dormire, a bordo delle navi invece, mi cerco qualche cosa da fare, e scommetteteci, su una nave c’è sempre qualche cosa da fare, basta volerlo.

A bordo della Condor l’eterno rullio della nave non mi era mai andato giù, con il mare lungo e di traverso, tutte le navi in zavorra rullano, la Condor però rullava più delle altre e non solo in zavorra, piuttosto anche a pieno carico.

Rullava in modo anomalo e nessuno ne sapeva il perché.

acque di zavorra

La nave oltre che con cisterne di zavorra nel doppio fondo, era stata equipaggiata anche con quattro cisterne così dette alte, che dal fondo stiva arrivavano fino alla linea di galleggiamento, e da altre otto cisterne lungo i fianchi da poppa a prua, che dalla linea di galleggiamento a pieno carico zavorra, arrivavano fino a metà altezza della stiva inferiore.


 

 

                                                                                    

acqua di zavorra  viene pompata nella nave  alla partenza per stabilizzarla, e poi viene espulsa in fase di arrivo

                                                                           

Ancor oggi, dopo tanti anni non sono riuscito a capire del perché di queste mezze cisterne, difatti sarebbe stato molto meglio non metterle affatto e aumentare così la capienza della stiva, le cisterne però c’erano ed erano li per restare.

Quasi giornalmente da quando ero a bordo mi ero ripromesso di aprirle alla prima occasione propizia per controllare se erano veramente vuote come risultava sondandole manualmente.

La logistica della nave che ancora non aveva avuto una singola traversata, per quanto breve, che fosse in zavorra, o un fine dettima in porto, mi aveva sempre impedito di eseguire quei controlli.

L’unica cosa che sapevo con certezza era che da diversi anni ormai, a bordo, come per incanto, erano apparse 120 tonnellate fantasma senza che nessuno fosse mai riuscito a scoprire dove fossero nascoste, e senza che se ne potesse arguire la provenienza. Tutti, anche i più accorti e capaci tecnici di carico e misurazione della stazza di una nave secondo la formula del vecchio Archimede, sapevano con certezza che c’erano, il loro unico grattacapo era che non sapevano dove erano, e così, volenti o nolenti, l’intera banda degli esperti si era rassegnata al fatto che ormai la nave caricava 120 tonnellate di carico in meno, che non rappresentavano altro che l’ammontare del peso fantasma nascosto a bordo da qualche parte.


Ognuna di queste cisterne aveva il suo passa uomo sigillato da coperchio di ferro ovale assicurato al fondo cisterna con ventiquattro bulloni, di conseguenza la mia intenzione quel pomeriggio era appunto di aprirle e controllarle una ad una.


Telefonicamente spiegai al comandante, durante la nostra breve telefonata meridiana sull’assetto nave, in cui io gli comunicavo le rimanenze del combustibile, dell’acqua potabile e dell’olio lubrificante a bordo e lui mi dava le miglia marine macinate nelle ultime 24h, quelle rimanenti da fare per raggiungere la nostra destinazione e il giorno e l’ora del nostro arrivo in Porto, cosa intendevo fare e perché.


>Mi viene già ora voglia di ridere solo a pensare che lei abbia un’altra volta ragione Chief, mi informi, se trova acqua nelle cisterne, così che potrò calcolare più carico,< mi raccomandò poi chiudendo la conversazione.


Era da Bilbao che non veniva più a mangiare in mensa, normalmente a mezzogiorno mangiavamo assieme, dopo la catastrofica operazione nel Cantabrico però, preferiva farsi portare il suo pranzo in cabina e mangiare da solo.

Il suo braccio destro invece pranzava alle undici e mezzo, e così in modo elegante non ci si incontrava mai, se non per caso.


Quel giorno prima di andare a pranzo con i ragazzi che mangiavano in mensa con noi, dall’officina mi ero portato appresso gli attrezzi che mi servivano e li avevo messi ben in mostra sul pavimento davanti alla porta della mensa, in questo modo i nostri due giovani aspiranti marinai non potevano fare a meno di notarli.

>Intendi fare qualche lavoro in coperta Chief?< Chiese Martin non appena vide gli utensili sul pavimento.

>Dopo mangiato abbiamo un lavoretto da fare nella stiva Martin, vogliamo aprire le cisterne alte della zavorra e controllare se sono realmente vuote,< gli risposi mentre Peter ci portava il pranzo a base di pesce fritto e patate arrostite.

In poche parole spiegai loro la ragione dei miei dubbi e perché non credevo che fossero vuote e cominciai a mangiare.

Luwala dopo essersi mangiata la sua razione di avanzi del giorno prima, ci osservava dalla porta, vedendo che nessuno la degnava di uno sguardo, se ne era andata in coperta ad abbaiare ai gabbiani ed al mare.


>E se troviamo dell’acqua nelle Cisterne?< -chiese Gerd che si stava già mangiando un'altra porzione di pesce e patate mentre io non avevo nemmeno finito la mia-

>lasciamo l’acqua fuoriuscire dalla stiva e la rispediamo in Mare,< -risposi - >sono convinto che poi la nave non rullerà più in modo così estremo e potremo anche caricare 120 tonnellate di carico in più,< precisai.

Subito dopo mangiato, sollevati un po’ i pontoni dei boccaporti per avere più luce, andammo diritti nella stiva; due ore dopo avevamo aperto tutte le cisterne, e pompato fuori bordo 120 tonnellate d’acqua puzzolente e rugginosa, la Condor finalmente cessò il suo snervante rullio, e noi, paghi del nostro lavoro, andammo a berci un caffè seguiti da Luwala che paziente ci aveva atteso davanti all’entrata della stiva, sdraiata in coperta, all’ombra del ponte .

La cosa non mi dava più pace, e cosi, subito dopo essermi fumato una sigaretta e sorseggiato un po’ di caffè, ritornai nella stiva seguito dai miei due compari che non si aspettavano davvero una pausa pomeridiana così corta.

Nelle cisterne trovai un casino e mezzo: il tubo di carico e scarico della zavorra scendeva perpendicolare dall’alto verso il basso e non come Dio comanda con l’imboccatura a poppa e in basso della cisterna, ma filava dritto giù, fino a pochi centimetri dal fondo, cosi che mi chiesi subito con che valori di contropressione dovevano lavorare le pompe quando le cisterne erano quasi piene, o che vuoto dovevano generare per potersi autoalimentare con un minimo di 100 tonnellate l’ora nelle operazioni di svuotamento.

Mi trovavo infatti, di fronte alla cazzata navale più grande del secolo, dove la relazione tra la capacità delle pompe e il diametro e l’impostazione delle tubazioni nelle cisterne, erano contrarie ad ogni elementare principio di fisica applicata.

L’altra porcata la trovai nei tubi di sondaggio.

Un dannato imbecille nel cantiere di costruzione, aveva si fatto scendere il tubo fino a pochi centimetri dal fondo cisterna, ma lo aveva reso anche cieco, otturandone la fine con una piastra; per permettere poi all’acqua di entrare nel tubo, quel cretino di costruttore navale aveva pensato bene di praticare dei piccoli fori laterali da cinque millimetri, ai lati del tubo stesso.

Fin qui anche se trovavo che era davvero una soluzione piuttosto ridicola e anormale, sen’altro aveva funzionato, ma questo solo fino a quando la ruggine, la salsedine e la sabbia non avevano otturato i piccoli fori nei tubi di sonda e impedito ogni reale sondaggio.

L’acqua nelle cisterne che, per una ragione o per l’altra, in un determinato giorno diversi anni prima, chissà poi per quale strambo e malato motivo, vennero solamente riempite a metà e lasciate così per chi sa quanti anni, aveva corroso i tubi di aspirazione delle pompe a pelo d’acqua, questa era la ragione per cui le pompe aspiravano aria, e dato che anche al sondaggio, essendo i tubi otturati, le cisterne risultavano vuote, tutti credevamo, come era logico supporre, che quelle fossero vuote davvero, per questo cominciarono a parlare di zavorra fantasma.

Invece la spiegazione a ben vedere era logica e per nulla soprannaturale.

Calcolai che partendo con due traversate pagate al mese, arrivavo a ventiquattro traversate l’anno, quindi con centoventi tonnellate in meno a viaggio arrivavamo a 5720 tonnellate di carico perso e ad una media di minimi duecento mila dollari annui in meno di guadagno lordo.


Quello che veramente mi dava da pensare era il fatto che, stando al grado di corrosione dei tubi nelle cisterne, questo stato di cose era vecchio di almeno dieci anni, questo mi diceva che in questo lasso di tempo nessuno, nemmeno la Società di Classificazione, che in questo caso era la Germanische Lloyd, le aveva mai fatte aprire per ispezionarle.


Felice del risultato ottenuto, dopo la doccia riportai il tutto in bella calligrafia sul mio Giornale di Bordo e poco dopo non potei fare a meno di cercarmi i piani di costruzione delle cisterne che avevo a bordo.

Come supponevo, scoprii che il Costruttore per le cisterne alte aveva previsto tubi zincati da 120 millimetri mentre io avevo trovato tubi non trattati e di soli 80 millimetri.


Anche qui, la scure del risparmio o della truffa alla sicurezza, con il beneplacito di una società di classificazione navale, pur sapendo bene che prima o poi questo avrebbe messo seria difficoltà la nave, era calata senza misericordia alcuna.

Era la stessa scure che cadde sui piani di costruzione di tante altre navi come ad esempio la Titanic, che da sola trascinò oltre 1400 persone con sé sul fondo dell’oceano Atlantico.

Quello che di più in questi casi mi rammarica è la certezza di sapere che questi tagli alla sicurezza delle navi sono praticati una banda di mezze calzette di Comandanti nautici che hanno prostituito il loro onore di Gente di Mare per far carriera a terra, giocando sulla sicurezza delle navi e sulla pelle dei loro camerati e colleghi in mare.


La certezza poi che codesti *** del mare la passavano pure liscia e ci guadagnavano sopra, mi faceva veramente star male, tanto che già da anni mi ero prefisso di combatterli apertamente ad ogni occasione propizia, sempre e comunque.



Stiviamo sale e l'ufficiale ancora una volta mette in pericolo nave ed equipaggio


Quella sera il mare lungo ci arrivava quasi direttamente di fianco a dritta, ma la Condor non rullava quasi più.

Anche il Comandante se ne era accorto e mi aveva telefonato, prima in camera e poi in mensa per informarsi.

>Vedo con piacere che lei ha trovato le 120 tonnellate fantasma Chief,< lo sentii dire mellifluo non appena risposi al telefono.

Gli spiegai la situazione con quattro parole e in stile telegrafico e sbrigativo come ero solito fare quando dovevo spiegare qualche cosa di tecnico a chi in verità di tecnica non ne capisce proprio un ***, ma gli dissi anche che, fino ad un’eventuale riparazione dei tubi nelle cisterne,queste erano fuori commissione, poi, dato che non avevamo niente altro da dirci, con un formale buona sera, finimmo la comunicazione.


L’indomani a metà pomeriggio attraccammo alla banchina di carico della Salina, non lontani dalla Cittadina di Antes, sulla Riva destra del fiume Ronna.

I portuali cominciarono subito a caricarci ed io a pompare la zavorra dalle cisterne nel doppiofondo della nave, fuori bordo.

Sapevo per esperienza che i portuali della salina lavoravano fino alle otto di sera, che avrebbero terminato di caricare la nave l’indomani nel primo pomeriggio, perciò dato che verso sera avevamo già un 250 tonnellate di sale nelle stive, scaricai, per aver più tranquillità l’indomani, tutte le 1800 tonnellate di acqua di mare che avevamo a bordo come zavorra.

L’indomani avevo intenzione di costruire il nuovo cassonetto per le batterie di emergenza per il nostro ricetrasmettitore di bordo e di farmi altri piccoli lavoretti di manutenzione all’impianto elettrogeno.

Grazie all’esperienza ed alla accortezza di Peter che, per una stecca di sigarette a Bilbao, si era non solo procurato le lamiere necessarie, ma se l’era pure fatte tagliare a misura, verso mezzogiorno con l’aiuto dei ragazzi avevo già terminato il cassonetto e vi avevo sistemato dentro le batterie. Non potevo usare la saldatrice elettrica per fissarlo sul ponte, per finire il lavoro avrei dovuto infatti costruire una nuova base e saldarla direttamente sulla coperta, ma con tutti i pericoli d’incendio che un operazione del genere, dato l'isolamento termico del ponte, avrebbe comportato, preferimmo assicurarlo alla ringhiera con due fasce di nailon a tiranti, sicuri che quello non si sarebbe più mosso di lì. Verso le due del pomeriggio, senza andare a pranzo, avevo anche terminato gli altri i miei lavori comprese le ispezioni in sala macchine.

saline aveira

Stavo finalmente bevendo un caffè in coperta, appoggiato al parapetto mi guardavo quella bianca distesa di sale, con piccoli covoni bianchi sparsi qua e là, e in mezzo a quelli, come formiche su un foglio di carta, piccoli puntini neri di uomini al lavoro, che mi ricordavano le vaste saline nei pressi di Aveiro, sacrificate all’ottusità dell’industria edile che costruiva case che nessuno si poteva compare e fabbriche e capannoni che non servivano a nessuno.

Quando Peter, visto che parlavo abbastanza bene il francese, mi pregò di andare con lui in città per aiutarlo a far provviste.

Prima di andarmene informai il Comandante che scendevo dalla nave e lo pregai di tener d’occhio i portuali.

Contrariamente a tutti i portuali di questo mondo, i francesi nella loro primordiale ignoranza, a fine carico non volevano saperne di dividere il carico in modo equo e uniforme senza lasciare posti vuoti nella stiva e mezzi covoni che,spostandosi con il rullio e le vibrazioni delle nave, avrebbero potuto alterare il nostro assetto di navigazione ed eventualmente mettere in pericolo la nave.

Oltre a ciò, quando i signori rappresentanti e prototipi della Grand Nation si accorgono che il loro interlocutore non parla la loro lingua, manco lo degnano di uno sguardo, se non di biasimo.

Questo era il problema di Markus, lui non parlava francese, io invece sì, e potevo comunicare in modo conciso e comprensivo anche con il più arrogante e ignorante dei francesi.

>I portuali tendono a non voler levigare il carico nelle Stive, lo fanno con tutte le navi, anche se non dovrebbero farlo,< avvertii il Comandante che mi rassicurò affermando che intendeva mettere tutti pontoni in posizione,e,così tranquillizzato, raggiunsi a terra il cuoco che mi stava aspettando sulla banchina.

Prima di ritornare a bordo con i nostri acquisti, ci sedemmo in un bistrò e ci bevemmo in santa pace, un paio di birre, e solamente dopo che ero riuscito a comperarmi anche due quotidiani tedeschi, ritornammo a bordo.

Già stando dalla banchina potevo sentire il sibilo della turbina ad aria compressa necessaria per sollevare e muovere in posizione i pontoni nella stiva, tuttoquindi pareva procedere regolarmente, quindi non mi occupai più della faccenda.

Mezz’ora dopo il pratico fluviale venne a bordo e salpammo con l’alta marea alla volta del mare aperto per proseguire il nostro viaggio verso Aveiro in Portogallo.

La sorpresa arrivò verso le tre del mattino dopo, nel bel mezzo del Golfo del Leone.

Da Nord-nordovest ci investì una forte burrasca, e la Condor ricominciò a rullare da maledetti, poi si inclinò una decina di gradi sulla sinistra e, restando così inclinata, continuò a rullare.

Forse grazie all’esperienza acquisita nel Cantabrico, chiunque si trovava sul ponte di navigazione aveva imparato bene la lezione perché aveva subito girato la nave contro il vento e il mare e ne aveva ridotto la velocità.

 

Temendo il peggio, saltai giù dalla cuccetta, mentre in fretta indossavo la tuta, Luwala svelta prese il mio posto e, prendendo la sua solita posizione a pancia all’insù, si incagliò con cura tra materasso e paratia, rimettendosi tranquilla a dormire.

Mentre scendevo di volata le scale per andare in macchina, cercavo di coordinare le mie idee, sapevo solo che i pontoni nella stiva erano stati inseriti in posizione, e che non avevamo subito nessuna collisione, né con un’altra imbarcazione né con qualche ostacolo solido galleggiante, come potrebbe essere ad esempio un contenitore o un tronco d’albero.

Pertanto dopo aver messo in rete anche il secondo gruppo elettrogeno, pur sapendo che le cisterne della zavorra a sinistra dovevano essere vuote, le controllai ugualmente a distanza, come speravo le trovai vuote. Prima di salire sul ponte di navigazione, data la costante inclinazione della nave, fermai anche il depuratore dell’olio lubrificante, controllai l’andazzo della mia mandria che scalpitava al 40% della sua potenza, e me ne andai sul ponte a vedere cosa diavolo mi avevano combinato questa volta.

I nostri due eroi stavano discutendo sul perché dell’improvvisa inclinazione della nave, ma l’ufficiale di coperta parlava poco l’inglese e a volte faceva anche finta di non capire.

>Cosa avete fatto nella stiva, avete messo tutti i pontoni in posizione o solo un paio,< chiesi a Gerd che assieme a Martin e Peter, ormai esperti e incalliti marinai, si erano precipitai sul ponte non appena la nave non si era raddrizzata .

>Abbiamo potuto mettere in posizione solo i pontoni di prua, i portuali si erano rifiutati di spianare i covoni di sale a poppa dicendo che tanto quelli non si sarebbero mossi, e così l’ufficiale non ha voluto toccarli,<

 

stiva di mercantile

>Bene, di bene in meglio, ma almeno ora sappiamo la probabile ragione della nostra inclinazione,< dissi piuttosto amareggiato al vecchio imbecille che aveva ripreso a fissare un punto nella notte da qualche parte la fuori nella tempesta.


>Dobbiamo andare nella stiva e spalare il carico a dritta finche non abbiamo raddrizzato la baracca e levigare bene il carico,< spiegai ai ragazzi.

>Senta un po’ Chief, perche invece di andare nella stiva a spalare per delle ore il sale non immette della zavorra nelle cisterne vuote di dritta come contro peso, finche la nave non è livellata con l’orizzonte?< mi chiese un Capitano Nautico di 74 Anni.

>Chi è stato quell’idiota che le ha emesso il brevetto di Comandante Nautico? Come si permette di fare queste domande e dare questi consigli allo Chief, lei sembra veramente intenzionato ad ucciderci tutti quanti, < - si intromise Peter che con due passi decisi si era di nuovo piantato minaccioso davanti al Comandante- > questo perché nessuno di voi ascolta i Bollettini meteo, se lei avesse subito fuori dal fiume accostato sotto costa ora saremmo al riparo dei venti da Nordest e invece siamo di nuovo nella merda, dannazione,< aggiunse in olandese Peter ed io non potevo veramente dargli torto.

Quello scemo di Comandante, da buon Capitano di Lungo corso, appena fuori dal fiume aveva puntato il naso verso il mare aperto e non aveva virato subito a dritta, cosa che sarebbe stata necessaria, non solo per abbreviare la strada da fare, ma anche per mettersi al riparo dalle eventuali brutte sorprese Meteo da Nord –Nordest del Golfo del Leone, famigerato per le sue mareggiate.

Avrebbe potuto navigare più sottocosta, nessuno glielo impediva, tranne la sua poca esperienza nella navigazione con navi al disotto delle diecimila tonnellate.

>Dobbiamo per forza di cose andare di nuovo nella stiva durante la navigazione per vedere di sistemare le cose in qualche modo, per non andare all’Inferno, tu Peter rimani qui sul ponte che è meglio, mentre noi e con questo intendo anche il fottuto Ufficiale di Coperta, andiamo nella stiva a raddrizzare la baracca,< spiegai ai ragazzi, e questa volta per fortuna il Comandante preferì starsene zitto, guardando fuori nel buio della notte.

Il Nostromo prese subito il suo posto accanto al Comandante ed io, seguito dai ragazzi e da un taciturno Ufficiale, li precedetti per richiuderci nella stiva sperando che non diventasse la nostra bara.


La gravità del pasticcio mi fu presto evidente, uno sguardo intorno nella stiva mi bastò.

Questa volta il problema si trovava a poppa; mentre a prua i pontoni erano al loro posto in posizione sopra la stiva inferiore, a poppa erano ancora uno sopra l’altro. Grazie al forte rullio della nave nella tempesta che l’aveva investita di fianco, una ventina di tonnellate di sale si erano ammassate a sinistra contro la paratia della nave, e ci tenevano inclinati da quella parte con un angolo di 15° sul livello del mare.

Mi resi conto che per raddrizzare la nave ci occorrevano almenoun paio d’ore, non avevamo tempo da perdere.

>Prenditi una pala e comincia a scavare, scavati la fossa o scava a dritta la nave, ti consiglio di metterti a scavare o ti seppellisco sotto il sale dannata scimmia,< ringhiai in faccia all’Ufficiale e con i ragazzi comincia a spalare il sale da sinistra a dritta.

Ci mettemmo tre ore per livellare la nave, alla fine levigammo il tutto in modo che non potesse più spostarsi né da una parte né dall’altra e risalimmo la scaletta per ritornare in coperta.

>Perche non hai raddrizzato la nave con la zavorra come voleva il Comandante?< Mi domandò Gerd mentre salivamo sul ponte.

>Sarebbe stato uno sbaglio imperdonabile.< -gli risposi- >se poi con il rullio e gli sbandamenti il sale si fosse spostato verso dritta, allora si che saremmo stati veramente nei guai, in questo caso avremmo avuto un’inclinazione sulla dritta di circa 30°, quella causata dal sale più quella dell’acqua, il che in una burrasca simile ci avrebbe con tutta probabilità portai diritti ai pesci,< gli spiegai.

>E così che si affondano le navi e si ammazza tanta brava Gente di Mare,< aggiunsi una volta sul ponte mentre ringraziando mi prendevo la tazza di caffè che Peter mi stava porgendo.

>Non ti azzardare questa mattina a lamentarti perché la colazione non è ancora pronta o ti giuro che ti ammazzo, < -ringhiò Gerd minaccioso in faccia all’Ufficiale di Coperta- >tu con la tua ignoranza e la tua poca voglia di lavorare non mi uccidi dannata scimmia, ti ammazzo io prima, di questo puoi starne più che sicuro, a casa ho la mia ragazza e mia figlia che mi aspettano,< gli ringhiò di nuovo dietro nel versarsi un caffè. Mentre lo ascoltavo, pian piano rimpiansi di non aver acconsentito all’avvicendamento dei due imbecilli nautici durante la nostra sosta forzata a Bilbao.

Il Comandante e il suo braccio destro cominciavano veramente ad apparirmi come persone ignobili e infide che non avevano nessun diritto di venir annoverate tra la Gente di Mare se non in modo negativo e tipi da buttare a mare alla prossima occasione.


Si decide di stabilire turni di guardia sul ponte per sicurezza

>Vai a farti la doccia Gerd ma ritorna subito sul ponte,< -dissi al ragazzo- >anche oggi è il caso di mettere dei turni di guardia sul ponte,< gli spiegai.

>Sono perfettamente in grado di starmene da solo sul ponte, e poi sono ancora io il Comandante di questa nave, < sbottò quel vecchio imbecille.

>Smettila di dire scemenze,< -gli ringhiai in faccia- > è la seconda volte in dieci giorni che per colpa tua siamo in uno stato di emergenza, quasi non ti puoi reggere in piedi, cosa credi di poter fare, cosa succede se cadi e ti rompi quella testa di merda che ti porti addosso, cosa succede se speroniamo un'altra nave, vecchio disgraziato, me lo sapresti dire, o hai veramente intenzione di ammazzare qualcuno?< Il vecchio testardo ammutolì e come al solito in questi casi, prese a guardare un punto nel nulla della notte.

In fila indiana, seguito da due silenziosi Peter e Gerd, uscii dal ponte e l’ufficiale di coperta ci si accodò per andare a farsi una doccia pure lui.

Quel mattino Peter per colazione ci preparò delle frittelle.

Il comportamento e l’attitudine di Peter verso nave ed equipaggio erano veramente encomiabili. Ancora non avevo sentito una parola di protesta e tanto meno di rifiuto quando si trattava di dare una mano e portare un valido aiuto alla nave e al suo equipaggio; in situazioni di emergenza me lo ero sempre trovato a fianco. Proprio per questo mi proposi di parlarne con Markus non appena questi fosse ritornato a bordo, difatti pensavo che un bonus di qualche centinaio di fiorini sarebbe stato più che mai d’uopo, anche i due ragazzi si erano meritati un bonus.

Il nostro piccolo mondo stava ritornando verso la sua quasi monotona normalità, fatta di piccoli piaceri come un buon pranzo o un lavoro ben riuscito, e con soddisfazione mi accorsi anche che dopo che avevamo svuotate le cisterne alte della zavorra del loro inutile contenuto, si rullava molto meno del solito.

Verso mezzogiorno poi la burrasca com’era venuta, si dissolse nel nulla e potemmo riprendere a navigare con la solita velocità economica, all'incirca all'80% della forza totale.

Solo al tramonto mi accorsi di quello che avrei dovuto notare già da diverse ore, difatti o era il sole che scendeva dalla parte sbagliata o eravamo noi che stavamo andando in un'altra direzione che ci portava diritti verso Est e non verso Sud-sudovest.

Difatti mi resi conto che il sole tramontava a poppa sulla sinistra e non sulla nostra dritta come avrebbe dovuto fare se stessimo navigando lungo la costa spagnola.

Quando presumibilmente ci si trova a navigare sottocosta e non si sa dove diavolo ci si trova, un modo infallibile per capirlo è quello di accendere la TV.

Trovai la TV francese, ma era la Corsica , trovai anche diversi canali in Italiano, e quelli erano Sardi, ma della TV spagnola che a quell’ora avrei dovuto ricevere, manco l’ombra.

Fregandomene altamente dove diavolo stesse andando la nave, mi preparai un mezzo secchio di caffè e mi misi a guardare la TV italiana. Luwala, che dopo la tempesta si era fatta i suoi soliti giri d’ispezione per le varie coperte, dopo aver profusamente cenato e lasciato il suo consistente mucchietto in coperta sotto la scialuppa di salvataggio, si era ,tranquilla e beata, accovacciata ai miei piedi,e con far da intenditrice si era messa ad annusare i miei calzini e a guardare la tv.

Al tramonto del nostro secondo giorno di navigazione in un mare calmo e liscio come l’olio, in lontananza a prora via sulla dritta vidi delle Isole. Quelle erano le Isole Baleari solo che non avremmo dovuto vederle se non sulla nostra sinistra.

Finché avevo abbastanza combustibile e acqua potabile a bordo e Peter aveva sufficienti provviste, quel vecchio imbecille poteva andare dove voleva, quelli non erano affari miei, cosa mia era la sicurezza tecnica della nave, non rientrava nell’ambito della sicurezza nave la rotta che prendeva.

L’indomani a mezzodì, quando,come ogni giorno, riferivo sul ponte per il loro Diario di Bordo l’inventario del combustibile e dell’acqua potabile, avvisai il Comandante che il combustibile a bordo sarebbe bastato solo per altri quattro giorni di navigazione.

Il vecchio imbecille non trovò niente di meglio da dire che chiedermi che cosa ne avevo fatto di tutto il combustibile che avevamo avuto a bordo.

Forse fu la pietà che ormai provavo per quella misera figura umana camuffata da Comandante Navale, o forse la poca voglia di farmi tutte le scale fin sul Ponte di Navigazione per scaraventarlo fuori bordo, che mi sconsigliò di andare sul ponte, fatto sta che mi trovai a ricordargli con calma che un paio di giorni prima avevo viso le Tv della Corsica e della Sardegna, e a spiegargli che pertanto dalla foce della Ronna in rotta per Gibilterra eravamo passati a meno di 30 miglia da quelle coste.

Gli ricordai anche la sua ridicola passeggiata per tutto il fottuto mare Cantabrico e mi trovai a consigliarli che se in caso avesse deciso andare ad Aveiro via New York sarebbe stato d’uopo prima fare dei rifornimenti a Ceuta o a Gibilterra altrimenti saremmo prima o poi andati alla deriva nell’oceano Atlantico e morti di fame e di sete.


Senza attendere una sua risposta gli ordinai con decisione 40 tonnellate di combustibile per Aveiro e il pieno di acqua potabile, e terminai la conversazione mettendo giù il telefono.

Tre giorni dopo entrammo nel Porto di Aveiro con a bordo una rimanenza di combustibile per sole dodici ore di navigazione.

Lo stesso giorno telefonai a Rotterdam e chiesi il rimpiazzamento del Comandante e di quel figilo di *** del suo degno Ufficiale.

La solita voce nel mio orecchio, ascoltò le mie lamentele, mi diede pure ragione, mi disse però che da Aveiro saremmo salpati alla volta di Rotterdam con la stiva piena di pacchi di legname, e che al momento, non aveva né un Comandante, né un Ufficiale a disposizione.

Dopo di che mi chiese quanto combustibile avevamo ancora a Bordo, e rendendomi conto che il comandante si era scordato di ordinarlo lo feci io e chiesi 40 Tonnellate o almeno 25 per poter raggiungere Rotterdam, e lo pregai anche di informare il nostro agente di rifornirci pure di acqua potabile.

Ridacchiando divertita la voce mi assicurò che avrebbe dato subito le istruzioni del caso e, a seconda dei prezzi di mercato, ci avrebbe fatto pervenire a bordo un minimo 25 tonnellate di combustibile e l’acqua potabile, poi mi chiese se per caso quei due avessero sovraccaricato la nave, visto che questa volta il carico era stato di 120 tonnellate in più del solito.

Gli svelai il segreto delle 120 tonnellate fantasma e gli spiegai anche che da un mio conto approssimativo la nave negli ultimi anni, grazie a questo scherzetto della zavorra fantasma, aveva perso qualche cosa come un centinaio di migliaia di dollari l’anno.

Sentii la solita voce parlare concitata con qualcuno, poi, promettendomi un bonus, mi ringraziò dicendo che sembrava incredibile che su una nave olandese fosse dovuto arrivare uno Chief Italiano dalla Germania per scovare le 120 Tonnellate di zavorra fantasma che nessun tecnico olandese nel corso degli anni era riuscito a individuare.


Rotterdam. Markus il mio riposo e l'ansia del marinaio a terra, ma c'è Carla..


Il giorno dopo, ancor prima di mezzogiorno, ci arrivarono 25 tonnellate di carburante e l’acqua potabile, la stessa sera tardi, terminate le operazioni di scarico,i ragazzi risciacquarono i resti del sale dalle paratie e l’indomani di buon ora, iniziarono le operazioni di carico.

Salpammo da Aveiro in un mare calmo verso le nove di sera e, almeno per quel che riguardava questo carico, ero sicuro che non avremmo avuto problemi.

Gli Dei del mare questa volta ebbero pietà di noi, difatti ci regalarono le migliori condizioni atmosferiche che avevano da offrire, e per tutta la traversata non vedemmo né delle singole nuvole né delle piccole increspature di mare.

Cinque giorni dopo entrammo nel Porto di Rotterdam.

 

porto rotterdam

Luwala, contenta e giuliva salutò ogni singolo membro della famiglia di Markus che assieme a lui ci stavano attendendo in banchina, un altro della combriccola mi era sconosciuto ma da come era vestito, lo classificai subito come il fabbro del Villaggio inglese che mi avrebbe sostuito a bordo per uno o due viaggi.

>Grazie Franco,< disse Markus prima di salire, due scalini alla volta, sul Ponte di Navigazione.

Il vecchio Comandante mi faceva anche pena, ma solamente perchè la Condor sarebbe sicuramente stata la sua ultima nave, mi dispiaceva vedere una carriera in mare finire in un modo così disastroso.

Ero però anche convinto che quell’uomo ormai rappresentasse un pericolo non solo per la nave e il suo equipaggio, ma per la navigazione in generale, e che pertanto dovesse essere necessariamente esonerato dal servizio attivo.

Mi trovai per un momento a sperare di non finire la mia vita in mare in un modo simile, di mantenere sempre il buonsenso e la capacità di giudizio sulle mie azioni senza mettere mai in pericolo uomini e mezzi.


Come supponevo, Markus si tenne l’Ufficiale con lui a bordo, sapeva bene che quello non si sarebbe permesso di fare il lavativo, il nuovo Comandante lo avrebbe immediatamente preso letteralmente a calci nel sedere.

Il vecchio fabbro del villaggio conosceva già la nave, un paio di volte nel passato ci aveva passato sopra le ferie con la sua famiglia, aveva anche pasticciato un poco in Sala Macchine, ma quello che per me era di fondamentale importanza, era che aveva in gioventù navigato per un paio d’anni come aiuto motorista su navi della Marina Mercantile Britannica, e quella in quanto a tecnica e capacità marinare non era seconda a nessuno.

Il giorno seguente, durante il passaggio da Rotterdam ad Anversa, gli avrei spiegato altre cose, sperando che se le tenesse in testa. Confidavo anche in Markus, visto che durante il periodo a bordo me lo ero più di una volta trascinato in macchina e lì gli avevo spiegato l’esecuzione di diverse operazioni, come ad esempio l’uso delle pompe di zavorra, del trasferimento del combustibile dalle cisterne del doppio fondo a quelle di decantazione e, attraverso una batteria di filtri antidiluviani, alla cisterna di aria, insieme ad altre mansioni di importanza per la sicurezza della nave.

Insomma, sperando che i due eroi della tecnica navale non mi fracassassero tutta la fottuta baracca, comunque feci tutto il possibile affinché ciò non dovesse succedere.

In Anversa feci il rifornimento di combustibile, Markus aveva seguito il mio consiglio e incamerato una quindicina di tonnellate in più per non correre il rischio di doverne prenderne dell’altro da qualche parte con un uomo a bordo, non proprio pratico del da fare.

Assieme al fabbro feci tutto quello che mi era possibile fare e controllare per non fargli avere dei grattacapi durante la traversata, infine, ad Anversa avevo anche preso i Diagrammi di combustione del Motore Principale e in porto, a motore fermo, le deflessione del suo albero di trasmissione.

I due Documenti che dimostravamo la buona efficienza e condizione del motore li fotocopiai, e incollando una fotocopia nel mio Giornale di bordo, ne misi un'altra nei miei rapporti mensili per darla all’Armatore e Comandante della Nave, mi tenni l’originale per la mia mappa personale da portare con me a terra.

La nave salpò alla volta di Bilbao carica, con un costoso carico di rotoli di Lamiera Inox, il giorno dopo, io presi il treno e me ne ritornai a Rotterdam dove due giorni prima alla Pensione Portoghese Algarve, avevo già prenotato una stanza.

Da quel giorno l’ansia del marinaio abituato a starsene a bordo delle sue navi e a viverle intensamente come se fossero di carne ed ossa e non di acciaio, riprese, l’inquietudine si impossessò come sempre dei mie sentimenti e delle mie azioni, quella mattina non appena mi svegliai chiedendomi dove diavolo ero finito, per una lunga manciata di secondi che mi parvero un eternità, provai sgomento.

Seduto sul letto della mia stanza poco prima di mezzogiorno, mi sembrava che questa si facesse sempre più piccola come se mi volesse schiacciare.

La maledetta solfa di sempre riprese da capo, e come da sempre, la noia cominciò a girarmi in testa e la parte si peggiore, ma anche la più divertente e amena, cominciò a prendere possesso di questo lupo di mare fuori posto e fuori luogo.

Per quanto nelle ultime settimane in particolare avessi sognato un po’ di riposo e una ben guadagnata e meritata pausa, ora che l'avevo, mi accorgevo di provare una forte sensazione d’insicurezza che rasentava quasi la paura.

Dannazione era proprio così: avevo quasi paura.

Paura di andare in città.

Paura di dover parlare con persone a me sconosciute.

Paura di attraversare la strada.

Paura di prendere il tram o di andare in banca a prelevarmi un po’ di contanti.

Avevo semplicemente fifa, mi sentivo insicuro perché mi mancava la nave, il mio mondo, i miei compagni di bordo, mi mancava quella disgraziata che ogni volta che c’era una burrasca si trincerava a pancia insù nella mia cuccetta, si incagliava tra il materasso e la paratia, e finita al burrasca, pisciava sul pavimento, mi mancava la mia mandria e tutto quel casino di tubi, pompe, pompette valvole e gruppi elettrogeni che la circondava.

Mi sentivo come prigioniero in un pianeta sconosciuto con tanti piccoli lugubri omini verdi pronti a scannarmi alla prima occasione.

Pensai per un momento di infilarmi sul primo aereo in partenza per l’Italia e di andare in Paese, a casa dai miei, ma sapevo anche che sarei caduto dalla padella nella brace, in miei per quanto fossero contenti di vedermi arrivare, erano ancor più contenti di vedermi ripartire ,e a dire il vero io con quel paese di zombi non volevo proprio più aver a che fare.

Il Paese era ormai diventato una piccola cinica e ipocrita cittadina di provincia, e la Chiesa Parrocchiale una Cattedrale.

A parte i lontani ricordi sbiancati dal tempo di un’infanzia comune, con i miei vecchi compagni di scuola non avevo legami di sorta se non appunto quei ricordi lontani nella notte dei tempi.

Le nostre rispettive esperienze erano troppo differenti, le nostre vedute lontane anni luce le une dalle altre, praticamente non avevamo nient’altro di più in comune che il colore del passaporto.

Eppure, pur sapendo che mi stavo ingannando, guardavo alla casa dei miei e al paese in generale, come ad un rifugio, a una tana dove potevo leccarmi e ferite e rafforzarmi prima di sentirmi abbastanza in forze e sicuro per ritornare là fuori alla caccia di altri mari e orizzonti e nuove avventure.

Contro questo tipo di angosce però conoscevo un antidoto ben collaudato nei secoli, da milioni di uomini come me, e così decisi di uscire.

Ci misi esattamente dieci minuti a radermi e a farmi una doccia, poi ben tirato a lustro e ben vestito, dopo essermi cosparso da capo a piedi di dopo barba per confondere un poco l’odore di nave che mi portavo addosso, scesi giù al Bar dove trovai Paco il cuoco che taciturno come sempre, come se ci fossimo veduti appena ieri, senza parlare mi mise davanti un boccale di Caffè e un bel bicchiere di spremuta d’arancia.

Bevvi, fumai, pagai e me ne andai.

Uscii per andare, da uomo impavido e sicuro, a combattere l’angoscia del marinaio a terra con una bella bevuta di birra.

M’incamminai verso il Bar “La Grotte!” del mio amico greco Kelly dove sicuramente dietro il banco avrei anche trovato Carla, la più grande e sincera *** di tutta Rotterdam, con lei volevo starmene un poco, finche' non mi decidevo a decidere cosa fare e dove andare, e se andare, o semplicemente, finché non sarebbe giunta l’ora di salpare di nuovo, nel frattempo volevo rimanere assieme a lei a Rotterdam.

Fine.

bar di rotterdam


 

 



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  Commenti (1)
1. L'altra faccia della Luna
Scritto da Franco Parpaiola website, il 12-09-2011 03:10
Ciao Marista. 
credo che voi tutti ora vediate la Vita in Mare con Occhi differenti. 
Diversi Anni prima la Nave Italiana Tito Campanella affondò nel Cantabrico in condizioni simili, alla nostara prima emergenza. 
Aveva caricato acciaio in Svezia, e in una Burrasca cominciò ad inclinarsi sulla sinistra.  
Un Rimorchoatore tedesco di passaggio le offrì aiuto, ma fu rifiutato e quello continuò per la sua Rotta. Per questo sappiamo che era inclinata sulla sinistra. Di sicuro le lastre di acciaio sfondarono lo scafo e a Bordo non riuscirono a tenetre l'acqua sotto controllo. Non c'è altro da dire. Luwala e la stessa che ci frego il l'anatra arrosto il Natale dello stesso Anno, un paio mesi dopo. Ciao.

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