Un giardino, figlio del sentimento e del vento, diviene cibo per lo spirito |
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Scritto da Marista Urru | ||||||||
venerdì 29 maggio 2009 | ||||||||
Uno scorcio del mio giardino: è evidente la necessità di potare olivi e quant'altro, pure nel suo disordine, le piante sembrano godersi la libertà, come il mirabolano sulla destra che abbraccia e contiene in sè in un trionfo di colori un bel prugno felicemente abitato da tortore ed occhiocotti che vi nidificano senza apportare nemmeno danni apprezzabili ai frutti. Avere la fortuna di disporre di uno spazio verde e rendersi conto delle infinite possibilità che esso può offrire al proprio benessere anche spirituale, è indubbiamente una gran bella cosa, ed ognuno di noi questa fortuna la vive, come giusto, a modo suo. Questo scorcio del mio quasi giardino che ho " carpito" da un album foto della druida, mi sembra mostri benissimo come e perché mi senta in dovere di scrivere che abbiamo non un vero giardino, ma un quasi - giardino intendendo uno spazio libero in cui la nostra mano è intervenuta su una landa pietrosa ed impossibile, insieme a quella di una natura provvidenziale che si è sbizzarrita in soluzioni ottimali per quegli angoli dove nulla, ma proprio nulla voleva crescere.
Questo luogo per certi versi anomalo è dovuto anche ad un mio sentimento di amore
profondo per la natura e per queste
colline laziali solari, allegre e misteriose, qui se ci si immerge nella
macchia o si passeggia per prati e collinette, più che altrove senti che
sei in un sito particolare, fuori del
tempo e dello spazio dei comuni mortali,
quasi in un mondo "altro" sospeso ed incantato. So che questa magia non può
durare, l'uomo è distratto e distrugge, tra gli animali è quello che
più si dedica alla opera di distruzione della natura mentre è quello che parla
e sparla di ecologia ed ambiente , parole dietro
cui poter un po' ipocritamente
nascondere i suoi scempi.
Non essendo una vera giardiniera e partendo dalle premesse su dette, immagino che questo che abbiamo e non altro poteva essere il nostro spazio verde, pieno di errori se visto con l'ottica di un serio professionista, ma ricco di angoli in cui gli animali residui della macchia passano per trovare acqua cibo e riparo dai dissennati cacciatori di zona, che disdegnano la riserva a pagamento e cacciano indisturbati in barba alle leggi fra le case con fucili da caccia grossa , accontentandosi a volte di tortore e addirittura dei palombacci del vicino. Insomma, il mio ritengo sia un luogo davvero altro, con angoli misteriosi e nascosti in cui sostare al fresco o in inverno al riparo dei forti venti dal mare, un angolo abbastanza raro in cui ancora potersi sentire parte di un tutto. E' vero che al momento è particolarmente trascurato, sono saltate per due anni le potature, i prati sono in disarmo, ma questo non ne appanna la magia forse perchè figlio appunto di una passione, ma soprattutto del vento che da maestro ci ha regalato le piante della nostra macchia che sul montirozzo pietroso su cui sorgeva la nostra casa non crescevano anche ad opera dei continui incendi che i locali e no vi appiccavano per favorire la raccolta degli asparagi, ma noi grati dell'aiuto di mamma natura, abbiamo riconosciuto e curato con pazienza le stente piantine che la ignoranza dell'uomo aveva risparmiato : mirto, fillirea, lentischio, pero, mirabolano o erbetta come il timo serpillo o malva dei prati o anemone o orchidea, li abbiamo curati e mantenuti, rispettando la forma naturale delle specie anche se non siamo dei botanici, ma osserviamo le piante intorno, guardiamo e vediamo, visto che né io né la druida viviamo come barattoli chiusi e questo immagino possa sopperire in un certo senso alla mancanza di nozioni di botanica e di giardinaggio in senso stretto.Quindi uno spazio libero in cui tagliamo le erbe solo quando il caldo comincia a bruciarle, troviamo che il prato naturale sia una cosa spettacolare, breve some spettacolo, ma non ci rinunciamo. E non abbiamo rinunciato alla fantasia, una fantasia fanciullesca forse, che predilige mistero e coloriprofumi e animali selvatici, in piena sintonia con quanto scriveva Ippolito Pizzetti* riguardo ad una frase che aveva scritto su legno della sua scrivania, presa da un anonimo scrittore inglese " Lo spirito ha bisogno di follia come il corpo di cibo", ed un giardino cosa è se non cibo per lo spirito? Mi ritengo fortunata di poter godere della meraviglia di questi prati fioriti, di godere dell'alternarsi delle stagioni visto come un qualcosa di veramente magico e fatato che in qualche modo riesce a riconciliarti con il mondo circostante. * Ippolito Pizzetti , morto a Roma nel 2007, era il più illustre fra i proggettisti di giardini, botanico ed umanista, era laureato in letteratura Italiana con Natalino Sapegno. Un poeta della natura. «È assurdo», diceva, «ma in Italia i giardini non hanno alcun rapporto con le piante del luogo. I parchi pubblici, in Emilia, sono pieni di conifere. Le ha volute la moda, il gusto dell’altro, il rifiuto di piante che sentissero le stagioni». Cercava di bandire i luoghi comuni. Detestava i boschi costruiti, diceva, dalla forestale, da improvvisati botanici «che distruggevano il paesaggio delle coste piantando forsennatamente eucalipti»
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