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Genesi, della regista Donatella Altieri PDF Stampa E-mail
Scritto da Anna Alessandrino   
sabato 25 giugno 2016

Ed è negli occhi del bimbo, nei suoi occhi scuri e profondi, come notti in bianco, che nasce la luce.

 Roberto Herlitzka e Claudio Salvato

Ho conosciuto Donatella Altieri un po’ di anni fa in casa di sua madre, Maria Antonietta Bochicchio, stimatissima insegnante e grande cultrice di tradizioni locali, e non solo, dove con alcune amiche avevamo preso l’abitudine di riunirci periodicamente per discutere dell’ultimo libro letto o dell’ultimo film visto, analizzandone le varie tematiche da più punti di vista. Donatella, giovane ragazza, si affacciava discreta, magari per salutarci prima di andar via, eppure in quei pochi attimi, in quelle poche battute scambiate, mi è rimasto impresso il suo sguardo. I suoi occhi scuri, vividi, erano colmi di una passione che ora comprendo essere sete di conoscenza, sete di sperimentare e sperimentarsi. Poi,  però, la vita ci ha portato su altri percorsi, ci siamo perse tutte un po’ di vista, finché non l’ho ritrovata regista quando, nel mio paese, ha presentato il corto Genesi, prodotto da Intergea e da lei diretto, che ha conquistato numerosi premi, in diversi festival del cinema, tra cui il Premio 2013 Michelangelo Antonioni, a Bari.

Genesi, ambientato nel nostro paese natale, Gravina in Puglia, della cui anima coglie alcune sfaccettature, racconta con garbo e delicatezza, l’elaborazione del lutto sia dal punto di vista di chi trasferisce il dolore, in modo rituale, alla natura, agli alberi di ulivo in modo particolare, la cui straordinaria potenza è scolpita dal tempo nei rami e nei tronchi, sia dal punto di vista di chi quel lutto lo vive chiuso in se stesso e nella propria solitudine, tra ricordi e nostalgia. Come spiega Donatella in una intervista, l’idea del film nasce durante un corso tenuto da Marco Bellocchio presso la Luiss in cui i partecipanti venivano invitati a scrivere una storia partendo da una poesia. Lei chiede di poter narrare una storia di morte cominciando dal libro della Genesi, racconto mitico per antonomasia. Infatti, se la creazione viene narrata attraverso una serie di separazioni, in un intrecciarsi di morte e rinascita, non è forse la morte la conseguenza di un’altra separazione, quella dell’anima dal corpo, affinché si viva in modo nuovo in un’altra dimensione? Eppure, parlare di morte, per tutti e soprattutto per scrittori e registi, non è mai stato facile e non lo è tuttora. È un fantasma relegato nel recesso più buio e lontano della nostra interiorità, recesso che ogni tanto proviamo ad illuminare con una luce fioca, ma quando lì ne vediamo l’ombra spegniamo tutto e fuggiamo ancora più spaventati. Per esorcizzarla, invece, bisogna illuminare bene quell’angolo buio, in modo che i suoi contorni siano meno marcati, quasi impercettibili sotto la luce, e lei non ci faccia più paura. Forse per questo Donatella, quando la storia comincia a prendere forma, intuisce che ha bisogno di luce per illuminare quell’angolo e le viene in mente una fiaba della tradizione orale, raccolta e narrata da sua madre. La fiaba è Regina Lenticchia in cui si racconta di una madre che vive il dolore per la perdita della figlia (Regina Lenticchia) in modo straziante, tanto che ogni cosa intorno si anima e soffre con lei. Nell'abbraccio della natura, e con la natura, quella madre non si sente più sola e a poco a poco riesce ad accettare la morte della figlia e l’idea della morte.  

È questa fiaba che consente a Donatella di raccontare in modo delicato il dolore intimo, vissuto in grande solitudine, di Giovanni, un uomo ormai anziano, interpretato magistralmente da Roberto Herlitzka, che ha difficoltà ad elaborare il lutto per la morte della figlia Annetta, finché qualcosa non lo spinge a tornare nei luoghi dell’infanzia, nella casa di campagna della sua terra di origine, dove da piccolo ha vissuto l’esperienza della morte del padre. In questi luoghi, Giovanni, aspettando chissà cosa, si aggira silenzioso,  con gesti lenti e sempre vestito di bianco, quasi fosse un fantasma, tanto da essere soprannominato proprio così, il fantasma, da alcuni bambini che lo osservano da lontano. Sarà proprio uno di questi bambini, il nipote del suo più caro amico d’infanzia, con la sua amicizia, a fargli ripercorrere un periodo della sua fanciullezza, apparentemente dimenticato. Ricorderà, infatti, la drammatica narrazione di quella fiaba sulla morte, ascoltata da grandi e piccoli in religioso silenzio, in cui tutto partecipa al dolore di una madre,  e rivivrà l’antico rito dell’abbraccio dell’albero amico, simbolo di forza e di esorcismo della morte, rito secondo cui, quando moriva qualcuno, gli uomini dovevano scuotere dolcemente gli alberi e rassicurarli affinché non perdessero le foglie per il dolore (tradizione che si trova anche in altre culture. Lo scrittore portoghese Josè Saramago raccontò qualcosa di simile, ricordando che suo nonno, prima di morire, scese nell’orto per abbracciare i suoi alberi). 

Rivivendo tutto questo, Giovanni comprende quanto nel mondo antico il rapporto con la morte fosse più naturale e pian piano nel suo animo qualcosa cambia, tanto che un giorno riprende a narrare a sua figlia Annetta, tornata a lui bambina in sogno, un racconto che lei amava tanto, quello della Creazione, riportato nel libro della Genesi. Per la prima volta, poi, dopo anni, riesce a  riabbracciare l’albero amico e a sussurrargli quel dolore che lo aveva accompagnato per così tanto tempo. A poco a poco il dolore si scioglie e quella morte accettata. Giovanni torna a guardare il mondo attorno a sé con un cuore nuovo e può riaprire finalmente la sua casa alla luce e a quanti vogliono condividere con lui quella ri-nascita.

Ecco, questa, per sommi capi, è la storia di Genesi, un cortometraggio di diciotto minuti nei quali lo spettatore resta incantato dalla bellezza delle immagini e in cui ogni particolare ha una sua precisa motivazione di essere.  Eun film in cui tutto, a partire dalla scenografia e dalla luce calda della fotografia, ci accompagna verso i personaggi, soprattutto verso Giovanni e il suo dolore. Tutte le sequenze, inoltre, sembrano rispecchiare esattamente ciò che è concepito dagli occhi della mente della regista e, in esse, si coglie nitidamente la sua delicatezza. La macchina da presa, infatti, è il suo sguardo che per immergersi nella storia fissa e accoglie ogni personaggio, ogni paesaggio, ogni ambiente con quella tenerezza che deriva dalla totale accoglienza dell’altro. Questa tenerezza è ancora più evidente nell’intensa amicizia di Giovanni con il bambino, interpretato dal bravissimo Claudio Salvato, con cui impara a parlare del proprio dolore, nonché a gioire per la genuinità e la freschezza di quel volto e di quegli occhi che riescono a fargli intravedere un nuovo futuro. 

Dopo aver visto la prima volta questo corto, quando è stato presentato nel mio paese, ho voluto rivederlo altre volte e l'ho cercato sul web. Sempre ho provato le stesse emozioni, quelle che si provano leggendo una poesia dolce e malinconica che ti penetra nel cuore. Ma ho sentito anche  i profumi e i colori intensi della natura, intensi come lo erano i sentimenti di quel mondo ormai scomparso per il quale si può provare solo una grande nostalgia. E ho sentito, intenso e reale, l'odore del vento tra gli alberi. 

Già, gli alberi. 

Sapete, dovremmo imparare ad ascoltarli, gli alberi. Forse comprenderemmo meglio noi stessi per accettare che quel che accade semplicemente sia. Giovanni, se pure dopo una vita, l'ha compreso e Genesi forse è questo che vuole dirci.

 

                          

 

 

 

 

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"Il libro di Anna" di Anna Corsi - Recensione di Anna Alessandrino PDF Stampa E-mail
Scritto da Marista Urru   
giovedì 05 marzo 2015

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La vita altro non è che un 

pellegrinaggio

verso il luogo del cuore.

Olivier Clement

 




 

 

Anna Corsi l’ho conosciuta su “faccialibro”  grazie alla passione per la scrittura che ci accomuna. È una donna solare, allegra, positiva e, ancora adesso, stento a credere che durante la seconda guerra mondiale fosse quasi adolescente, prima per la sua anima rimasta giovane e poi perché non dimostra assolutamente i suoi anni. Ha pubblicato vari libri, anche di poesia, ma è l’ultimo quello che me l’ha fatta conoscere maggiormente, è “Il libro di Anna” in cui è racchiusa tutta la sua vita, o per meglio dire gli avvenimenti più importanti della sua vita, da quando, bambina, viveva felice a Genova con la sua famiglia, fino ai nostri giorni.


Leggerlo è stato per me come vivere un viaggio, il viaggio che racchiude in sé quasi la metafora della vita tra nascita, morte (intesa non necessariamente in senso fisico) e ri-nascita.

Inizialmente questo “viaggio” mette Anna in contatto con paesaggi e affetti cari, rassicuranti. Sembra quasi di vederla farsi accarezzare dal vento, o perdersi tra le note di un’opera,  a cui si era avvicinata grazie alla passione per la musica della mamma, o tra i riflessi del sole sul mare. D’improvviso, però, uno scossone tremendo oscura ogni orizzonte: l’Italia nel ‘40 entra in guerra e tutto cambia. Nella famiglia di Anna, ben presto, ci sono le prime perdite tra cui l’amato padre. Tutto diventa difficile e lo è ancora di più quando l’Italia è divisa in due, a nord gli ex alleati, i tedeschi, e a sud i liberatori, gli americani. Lei, con la mamma e il fratello Domenico, è a Genova dove la situazione è davvero drammatica tanto che, quando il fratello fugge tra i partigiani, Anna, non ancora sedicenne, viene presa e deportata in Germania, durante una irruzione dei tedeschi in casa.

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La luce nella fotografia di Elio Scarciglia - tra bianco e silenzio PDF Stampa E-mail
Scritto da Anna Alessandrino   
mercoledì 16 aprile 2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Come subito lampo che discetti

 li spiriti visivi, si che priva

 da l’atto l’occhio di più forti obbiettivi,

 così mi circonfuse luce viva,

 e lasciommi fasciato di tal velo

 del suo fulgor, che nulla m’appariva.”

(Dante, Par. XXXX, vv. 46-51)” .

 

Rimango affascinata sempre dalle fotografie di Elio. Tutte hanno una storia da raccontare, ogni viso, ogni colore, ogni paesaggio ha qualcosa da dire, ha una emozione da regalare. Questa è la grandezza della sua Arte. Tuttavia, mi hanno molto attratto le fotografie che hanno per tema “Tra bianco e silenzio”.

Quelle porte, quelle case, le pietre che lastricano stradine e gradoni, quei muri, improvvisamente mi sono diventati familiari, pur non avendoli mai visti. È come se lì vi avessi abitato perché la memoria fa strani scherzi e ha sovrapposto a quelle immagini altre lontane, rimaste ben impresse nella mente.

In questi suoi scatti, in cui predomina il bianco, accentuato da una luce magica che forse solo al sud possiamo vantare, mi trovo a sorprendermi di come proprio la luce sappia parlarmi della semplicità di un paesaggio che quasi toglie il respiro, facendolo diventare frammento di un’eternità  in cui suoni e rumori sembrano congelati, tanto che le porte chiuse, le stradine vuote e il cielo grigio che incombe ne danno una dimensione quasi irreale. Eppure la realtà è là, in quei panni stesi ad asciugare, nei fiori sul balcone e proprio nel silenzio, sì, nel silenzio che segue al concitare di voci che già immagino:” Mninn, fuscit’, jinde a cast ca mo’ s’ n’ ven a chiouve – bambini, correte, presto in casa, che tra poco piove. ”

Ed emerge via via   la storia antica di questo bellissimo centro storico (il paese è Ceglie Messapica) in cui tutti si davano una mano, come quando dovevano imbiancare le case con la calce, per dare più luminosità a quelle viuzze o per evitare che la peste dilagasse.

Attraverso la luce ogni pietra, ogni porta, ogni squarcio di cielo fermato dallo scatto di Elio Scarciglia si arricchisce di un sapore proprio, di uno strato di bellezza e autenticità che rende ogni fotografia un’opera d’arte perché chi la veda possa essere proiettato col proprio mondo in quel mondo e interagire con esso.

A me è capitato con una in particolare che ho trovato estremamente bella, quella in cui  i raggi del sole sembrano voler indicare un punto, il buio di una finestrella, quasi un pertugio, accentuandone l’importanza e il mistero e permettendo,  in un gioco di luce e penombra, di assaporarne la magia. Così ho immaginato storie, personaggi, vite passate là dietro. E per un attimo ho vissuto con loro, perché incantano le fotografie di Elio ed emozionano. Hanno un’anima che parla e ci parla.

Grazie Elio.

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"Le radici dell'odio" di Anna Cilifrese. Recensione di Anna Alessandrino PDF Stampa E-mail
Scritto da Anna Alessandrino   
domenica 06 ottobre 2013

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Anna Alessandrino: Equinozio d'autunno, la festa del "forte volere". PDF Stampa E-mail
Scritto da Anna Alessandrino   
domenica 22 settembre 2013
  L’avvicendamento delle stagioni, con solstizi ed equinozi, ha un forte significato simbolico perchè in questa alternanza di forze contrapposte, ma complementari (luce-ombra; caldo-freddo; vita-morte ecc..), si manifesta la nostra esistenza.
  Nel giorno dell’equinozio d'autunno la durata del giorno è uguale a quella della notte in un perfetto equilibrio, ma dal giorno successivo, fino all'equinozio di primavera, il buio prevarrà sulla luce. 
  L'equinozio d'autunno segna la fine dell'estate in cui la natura e l'essere umano tendono verso l'esterno e tutto è più vitale. 
  Da ora in poi, invece, le giornate si accorceranno, farà più freddo e la natura sembrerà morire, apparentemente, perchè in realtà comincerà a rigenerarsi nel silenzio e in modo quasi impercettibile.
 La stessa cosa avviene nell’essere umano in cui aumenta l’attività interiore, attività che ha bisogno di una grande forza di volontà affinchè egli possa porsi degli obiettivi, realizzarli, e non immalinconirsi. 
  Ecco perchè nell'equinozio d'autunno si celebra "la festa del forte volere".
 Infatti, poichè l’elemento alchemico dell’autunno è il ferro, e la volontà è nell'interiorità dell'Uomo il suo corrispettivo, forse è per questo che si dice “avere una volontà di ferro”.
  Da non dimenticare, inoltre, che il 29 settembre si festeggia San Michele rappresentato sempre con la spada di ferro puntata sul drago. 
  Secondo Rudolf Steiner, padre dell’Antroposofia, questa immagine è un appello rivolto all'Uomo affinchè si liberi da ogni timore o paura per avviare in questo periodo un vero e proprio processo di autocoscienza. 
 Egli così scriveva: “Lasciamo che in noi, in questa fase autunnale, cresca tutto ciò che tende alla libera forte e coraggiosa volontà, contraria ad ogni ignavia e ad ogni paura”.
   Dunque, buon autunno a tutti!



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Una rivolta per Gezi Park di Anna Alessandrino PDF Stampa E-mail
Scritto da Anna Alessandrino   
venerdì 07 giugno 2013

Quando cominciò la guerra in Cecenia conducevo, in una radio locale, una trasmissione che affrontava diversi argomenti. Al riguardo affermai che ne avremmo sentito parlare ancora, mentre in tanti affermavano che era un fuoco di paglia. Ebbi ragione io. Negli ultimi anni, poi, seguendo la crisi in Medio Oriente ho sempre pensato e detto che i prossimi "fuochi" sarebbero stati accesi in Libia e in Siria. Ed è avvenuto.

No, non toccatevi, non porto sfiga, ho buon intuito … e anche una laurea in Storia Moderna.

E adesso veniamo alla Turchia e agli ultimi avvenimenti che in questi giorni la vedono protagonista.

Aridamme!!

Sì, aridamme… intanto rispolveriamo un po’ della sua storia.

 

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